Hanno dimostrato, con i loro successi’ ripetuti negli anni, di essere la lobby più efficace e potente che l’Italia conosca. E con l’ultima battaglia appena vinta, la più rocambolesca, hanno portato definitivamente (nel loro settore) l’Italia fuori dall’Europa. Sto parlando, incredibile dictu, degli ambulanti e della loro battaglia contro la direttiva Bolkestein. Molto più di una direttiva europea, in realtà: un vero e proprio fantasma’ normativo, di cui si attende l’attuazione nel nostro Paese – invano – da ben 11 anni, nonostante una procedura d’infrazione aperta dalla Commissione europea e successivamente archiviata. E di cui si parla troppo spesso a vanvera, sulla base di pregiudizi e di assunzioni ideologiche, in una logica semplicistica da videogame: come se fosse un mostro’ partorito dalle menti dei funzionari di Bruxelles, da abbattere con ogni mezzo disponibile.
Poco prima di Natale, nel corso del solito rush per l’approvazione della legge di stabilità, il Parlamento si è arreso ancora una volta alla forza di questa particolarissima lobby. Gli ambulanti hanno ottenuto l’ennesimo rinvio dell’applicazione della direttiva. E la proroga ha spostato così in là la data di applicazione – al 2020 – da far pensare a una cancellazione di fatto della direttiva dall’orizzonte del legislatore italiano. Ma cosa prevede in effetti la direttiva Bolkestein? L’atto, che risale al 2006, stabilisce la liberalizzazione del mercato delle postazioni adibite alla vendita su strada, attraverso la loro messa a gara. Vengono previste regole precise sulla durata delle licenze e sulla loro riassegnazione, da applicare a chiunque commerci su strade pubbliche situate in zone demaniali, nel centro storico e vicino ai monumenti.
Nulla di mostruoso o di gratuitamente vessatorio, dunque, ma un pacchetto di regole di buonsenso che mira a eliminare una zona franca del commercio basata su criteri medievali, in cui attualmente le licenze si ereditano da padre in figlio o vengono vendute dai titolari senza il minimo controllo. L’attuazione della direttiva Bolkestein è divenuta ormai uno dei più complessi banchi di prova del riformismo italiano. Con esiti sempre negativi, in qualsiasi epoca e con qualsiasi maggioranza.
A provarci per primo fu il governo Berlusconi nel 2010, dopo che la Commissione Ue aveva aperto una procedura d’infrazione (poi lasciata cadere) contro il nostro Paese per la mancata implementazione della normativa. Dopo il primo nulla di fatto, nel 2012 (governo Monti) il Parlamento decise per una nuova proroga. Nel 2016 il governo Renzi stabilì di prolungare ancora le concessioni, fino al 2018. Giungiamo così ai giorni nostri e all’ennesimo fallimento del tentativo di applicazione della direttiva, portato avanti dal Pd con la feroce avversione dei Cinquestelle.
A vincere è stata sempre, immancabilmente, la propaganda degli ambulanti che utilizza un doppio livello d’azione. Perché è lobby di palazzo e insieme lobby di piazza: gli ambulanti sono in grado di bloccare le città e di organizzare presidi delle strade, ma anche di controllare e distribuire voti. Una dote’ capace di convincere politici d’ogni colore e d’ogni epoca, che non vogliono certo infilarsi in una guerra di consensi contro una categoria di (finti) poveri. Peccato che la maggioranza silenziosa degli italiani, o almeno di quelli che abitano nelle grandi città, subisca ogni giorno le conseguenze negative di questo fallimento riformista. L’invasione nei centri storici di banchetti, carretti, camion bar – che si concentrano in prossimità dei siti patrimonio dell’umanità – è uno schiaffo permanente all’immagine e al decoro delle nostre meravigliose città d’arte, abbassa la qualità dell’esperienza turistica e rende pressoché impossibile una seria attività di controllo. Soltanto nella capitale, si stima la presenza di quasi 12mila postazioni di commercio su area pubblica per un giro d’affari di decine di milioni di euro. Ma, come è noto, in Italia la maggioranza soccombe (quasi sempre) di fronte a lobby piccole ma ben organizzate e pronte a tutto. Così come il riformismo a favore della collettività, se non viene raccontato e declinato in vantaggi visibili, è (sempre) più debole di interessi molto particolari ma terribilmente concreti.
Di Francesco Delzio/ Su Prima Comunicazione