La lunga marcia (provvisoria) dell’inno di Mameli

In Italia, è noto, non c’è nulla di più definitivo di ciò che nasce come provvisorio. Lo dimostra il caso dell’Inno di Mameli, «ll canto degli italiani», che da 71 anni emoziona (in ogni angolo del mondo) i cuori dei nostri connazionali. Ma solo in modalità “provvisoria”: lo stabili il 12 ottobre del 1946 il Consiglio dei Ministri guidato da Alcide De Gasped, e da allora nessun Governo aveva sentito l’esigenza di attribuire una legittimazione definitiva al nostro inno. Fino a qualche giorno fa, quando la Camera ha approvato una proposta di legge ad hoc presentata dal deputato di Fratelli d’Italia Gaetano Nastri e dal collega del Partito Democratico Umberto D’Ottavio. In attesa del via libera definitivo del Senato, è una bella notizia. Rafforzata dal fatto che si tratta di iniziativa trasversalmente condivisa dalle forze politiche.

Qualche lettore penserà di sicuro che la decisione della Camera debba essere archiviata come “curiosità da cruciverba”, o che sia semplicemente un atto forzale. Non è così, a mio avviso. Nell’era dominata dal globalismo e dalle spinte centrifughe che rischiano di far implodere i singoli Stati europei, l’inno nazionale ha un significato che va ben oltre quello della memoria. E uno dei pochissimi elementi riconosciuti e riconoscibili dell’identità nazionale e dei suoi valori, capaci di superare i limiti del tempo e dello spazio. «Mai come oggi hanno senso le parole scritte dal giovane eroe risorgimentale», ha commentato non a caso Giorgia Meloni, leader di quel partito (Fratelli d’Italia) che ha voluto richiamare l’inno nazionale sin nel suo nome. È vero che la “marcetta” di Novara e Mameli non ha mai goduto di particolari apprezzamenti sul piano musicale: troppo “facile” lo spartito sul piano tecnico, almeno rispetto ad altri inni nazionali frutto dell’impegno di compositori del calibro di Mozart, Haydn, Gounod e Nordrask. Ma il suo testo contiene messaggi di coraggio, di speranza, di disponibilità al sacrificio, di “doverismo” che sono ancor oggi – e ancor più per i nostri millennials – di straordinaria attualità. In più si ispira alla dimensione del “sogno”, evocando una Patria che allora non c’era e sembrava poco più di un’astrazione intellettuale. Una dimensione che oggi sembra scomparsa dall’orizzonte della politica. E che varrebbe la pena recuperare rapidamente, con la sua forza inclusiva, per evitare che la campagna elettorale alle porte si riveli per gli elettori la più “triste” e la meno coinvolgente della storia repubblicana.

di Francesco Delzio/su Avvenire