Dopo anni di “buio” economico e sociale, finalmente qualche piccola luce si è accesa nel quadro della complessa e cronica questione meridionale.
Per la prima volta da molti anni, infatti, nel 2016 il Prodotto interno lordo del Mezzogiorno è cresciuto in linea con la media nazionale (facendo registrare secondo l’Istat un «significativo recupero») e l’occupazione è cresciuta più della stessa media nazionale. Altra buona notizia: l’aumento del valore aggiunto a Sud è stato molto più marcato nell’industria e nel commercio, ovvero i settori in grado di creare più investimenti e più opportunità di occupazione qualificata. Ma si tratta di “casualità statistiche”, destinate a essere smentite già nel corso di quest’anno, o dell’inizio di una vera rimonta del Meridione?
Nessun economista di valore potrebbe azzardare una risposta seria, almeno prima che questi segnali si siano consolidati. Ma se andiamo a indagare in profondità tra le pieghe dell’area del Paese che ha più sofferto negli anni scorsi gli effetti della Grande crisi, e che tuttora paga uno straziante tributo alle ferree leggi della competitività a causa della continua fuga dei suoi giovani migliori, possiamo trovare una serie di tracce rilevanti di una possibile rimonta. Ne cito solo due: oggi il Mezzogiorno è la principale fucmadi startup nel nostro Paese, con un numero di nuove imprese create ogni anno superiore alle altre aree della Penisola, ed è l’area d’Europa in cui è maggiore la crescita di flussi turistici (favoriti soprattutto dalla “crisi di sicurezza” della sponda Sud del Mediterraneo), con un particolare sviluppo del turismo di qualità in Puglia e Sicilia 11 futuro prossimo del Meridione, dunque, si sta colorando di talenti, di capacità imprenditoriale e di innovazione, di servizi di qualità in grado di mettere a frutto le risorse donate dall’ambiente e dalla storia. In astratto è la strada migliore che il Sud potesse imboccare, perché punta finalmente sui suoi asset. E in concreto è una spinta che viene “dal basso” e non dal vecchio dirigismo di una (presunta) politica industriale nazionale o regionale, che nei casi migliori ha regalato al Sud soltanto inutili cattedrali nel deserto. La speranza di una rimonta del Sud, dunque, sembra poggiare su qualche solida base. E soprattutto su un rinnovato (e forse rivoluzionario) “spirito del tempo” che si sta facendo largo tra i ragazzi meridionali: l’idea che, nonostante le esilaranti parodie di Checco Zalone, fl posto fisso nel settore pubblico appartenga ormai ai miti del passato. Che sarebbe inutile cercare nel presente.
di Francesco Delzio (Avvenire) @FFDelzio