Attenzione alla «filiera futuro». Perché per la prima volta dopo due decenni, il focus dei programmi elettorali si sta spostando dalla manutenzione del presente alla progettazione del domani. È una bella notizia. Il nostro Paese si sta finalmente risvegliando dal triplo (durissimo) colpo subito a causa dell’irrompere della globalizzazione, di vincoli europei divenuti insostenibili, della crisi economica più pericolosa della storia contemporanea.
Con una conseguenza politica: gli italiani chiedono oggi ai partiti risposte con uno sguardo più lungo. Lo dimostra l’attenzione, molto più forte rispetto alle elezioni del 2013, nei confronti di tre grandi questioni: il lavoro, i giovani, la natalità. Re questioni sulle quali i partiti (o meglio, quei leader di partito che l’hanno capito) si contenderanno gran parte del voto degli indecisi. L’occupazione, anzitutto, è il terreno sul quale gli italiani invocano un’inversione a «u». Negli ultimi decenni il lavoro è stato costantemente «massacrato» dal fisco spostando la grandissima parte del carico sui redditi da lavoro dipendente, favorendo le rendite finanziarie e tutelando i grandi patrimoni. Un dato per tutti: oggi il cuneo fiscale sui redditi da lavoro è superiore di 10 punti alla media UE e di 12 punti alla media Ocse.
È un divario inaccettabile, cui tutte le forze politiche oggi sembrano voler porre rimedio. Per rendere le buste paga più pesanti e restituire «dignità fiscale» ai lavoratori dipendenti. Riportare il lavoro al centro dell’agenda vuol dire risolvere, in parte, anche l’emergenza giovani. Lo dimostra la convergenza sul punto tra la Confindustria di Vincenzo Boccia – che da mesi propone al governo di investire tutte le risorse disponibili sulla decontribuzione delle assunzioni di under 35 – e le forze sindacali. Ma a monte degli alti tassi di disoccupazione giovanile, oggi in Italia la condizione dei nostri ragazzi è resa più «arida» da tre grandi anomalie: la mancanza di strumenti che consentano di cercare un impiego senza raccomandazioni e reti familiari, l’estrema difficoltà dei nostri ragazzi nel costruirsi una vita propria emancipandosi dalla famiglia, la latitanza dei soggetti istituzionali che dovrebbero occuparsi dell’orientamento.
Per questo l’intervento sul cuneo non basta. Serve un «piano giovani» che includa anche la riforma dei Centri per l’impiego, nuovi strumenti per favorire l’orientamento delle scelte universitarie verso il lavoro e incentivi per politiche del credito più «friendly» verso i nostri ragazzi. È interessante notare, infine, lo sbarco sulla scena politica (dopo decenni di «damnatio memoriae» ideologica) delle politiche per la natalità. Basti pensare che l’Italia, vagone di coda nell’Unione rispetto alla crescita del Pil, è invece in testa rispetto alla crescita del Pil pro-capite: un incrocio di dati che chiarisce bene quale sia la vera malattia italiana, ovvero la contrazione della base demografica.
Oggi la questione natalità è posta come priorità assoluta nel centrodestra da Giorgia Meloni: la leader di Fratelli d’Italia propone misure efficaci come la gratuità degli asili nido e il «reddito bimbo». Ma sullo sfondo rimane il grande nodo dell’introduzione del quoziente familiare: sarebbe la spinta più potente alla ripresa della natalità, perché ridurrebbe il disincentivo derivante dai costi più alti che in Italia devono essere sostenuti per ogni figlio. Un nodo che dovrebbe essere interesse di tutti i partiti sciogliere al più presto, perché è in gioco il futuro prossimo del nostro Paese.
di Francesco Delzio/su Panorama