La lobby degli editori ora sorride
La legge di stabilità – o meglio il decreto fiscale collegato – ha mostrato la forza di una lobby ‘nobile’, di cui poco si parla e che molti davano per morta. Dimenticando che, nei momenti cruciali, non manca mai l’obiettivo. È la lobby degli editori, terribilmente provati (per usare un eufemismo) dalla crisi epocale del mercato pubblicitario che sta mostrando una preoccupante violenza anticiclica: iniziata insieme al calo del Pil, non si arresta nonostante la generale ripresa dell’economia italiana. Ebbene, il provvedimento fondamentale della politica economica del governo prova ad attutire la caduta di un settore vitale per la democrazia. Finanziando con 20 milioni di euro per il 2017 e 62,5 milioni di euro per il 2018 uno strumento nuovo e apparentemente molto potente: un maxi credito d’imposta per le aziende pari al 75% degli investimenti in advertising aggiuntivi rispetto a quelli effettuati nell’anno precedente, che sale addirittura al 90% nel caso di piccole imprese e startup innovative.
È comprensibile che i giornali non amino parlare del tema, sia per ragioni di stile (l’informazione tende a non raccontare se stessa) sia di convenienza (il rischio di apparire poco credibili nel giudicare il potere politico, quando sforna provvedimenti a tuo favore). Ma la decisione ha un notevole valore politico, sotto molti aspetti. Usare la leva fiscale in modo così netto a favore dei media è un riconoscimento del valore sociale della stampa, quotidiana e periodica, e dell’informazione locale. Nell’era del news bombing, del trionfo della Rete e dei device digitali, il segnale da parte del governo non è scontato. “È una misura”, ha commentato il presidente della Fieg Maurizio Costa, “che riconosce il valore della stampa e che porta a conclusione gli interventi di riforma del settore avviati dal ministro Lotti con il Tavolo per l’editoria”. Ed è appunto Luca Lotti il king maker di questa misura. È riuscito a fare ciò che molti predecessori avevano solo immaginato, spingendo il governo a finanziare in modo significativo un provvedimento che poteva sapere semplicemente di captatio benevolentiae pre elettorale e che invece rappresenta una delle poche ancore di salvezza per i media più tradizionali. E lo ha fatto in operoso silenzio, senza inutili e pericolosi squilli di fanfare, mettendo in campo un abile pragmatismo che gli varrà la riconoscenza di editori grandi e piccoli. Anche sul piano tecnico, la misura appare decisamente ben congegnata. Perché quando un imprenditore o un libero professionista ragionano in termini di crescita e hanno risorse da investire, la convenienza fiscale è probabilmente il driver più potente nella scelta del tipo di investimento da realizzare. Da qui l’importanza di una percentuale così alta di investimento trasformabile in credito – superiore persino alle soglie più alte definite in ambito culturale, come quella dell’art bonus – che ha in assoluto pochissimi paragoni nella giungla italiana degli incentivi fiscali. Dopo gli iper incentivi per l’acquisto di macchinari e tecnologia del pacchetto Industria 4.0, non c’è nulla di più conveniente in questo momento. L’invito ai business men non potrebbe essere più chiaro: investite in pubblicità, aiutando la vecchia carta stampata a sopravvivere ai marosi del mercato, perché il governo vi aiuterà. Un altro elemento di forza è la continuità, poiché la misura parte (seppur in ritardo) nel 2017 ed è già finanziata con certezza anche per il 2018. Altrettanto interessante è la natura selettiva del provvedimento: non riguarda tutti i media – perché non coinvolge tv e radio nazionali che hanno recuperato il segno più dopo gli anni bui della grande crisi – ma i settori che stanno affrontando negli ultimi anni le fiamme dell’inferno perché spiazzati dal crollo delle vendite e degli ascolti, e ancor più dall’abbattimento delle tariffe pubblicitarie: ovvero quotidiani (anche online, grazie a un emendamento dello stesso decreto fiscale), periodici, tv e radio locali. Naturalmente la palla è ora nel campo degli editori. Dovranno accendere i riflettori (delle aziende clienti) nei confronti di un provvedimento che finora è stato tenuto volutamente nell’ombra. Ma, soprattutto, dovranno esser capaci di allargare notevolmente il loro portafoglio clienti e di restituire il giusto valore a un prodotto che negli ultimi anni è stato venduto costantemente a prezzi di saldo di fine stagione.
di Francesco Delzio/su Prima Comunicazione