Corridoi deserti a Montecitorio e a Palazzo Madama, bar semivuoti nei dintorni, struscia in giacca e cravatta nelle vie attigue pressoché azzerato. E il panorama quotidiano offerto, negli ultimi mcsi, dai luoghi tipici’ del lobbista. Tutti in vacanza, dunque? Non esattamente. Perche in queste fasi la parola d’ordine del bravo lobbista è prevenire. Anticipandu e prevedendo il più possibile nomi, assetti e situazioni con cui dovrà fare i conti nel post elezioni.
Peccato che stavolta, con una legge elettorale studiata a tavolino per non proclamare un vero vincitore il 5 marzo, prevenire e prevedere rischia di trasformare perfino il lobbista più avveduto in un curioso personaggio a metà tra Nostradamus e il mago Otelma. Ma nulla pub spaventare chi si occupa di gestire la straordinaria complessità del rapporto tra pubblico e privato. E allora le giornate scorrono frenetiche consultando l’ultimo sondaggio disponibile e chiedendosi – questione chiave per gli addetti ai lavori – quale sia il ‘fattore correttivo’ applicato da questo o quell’istituto demoscopico a questo o quel partito, per interpretare correttamente (sfida titanica, non solo in Italia ma in tutte le società occidentali) l’alta percentuale di risposte false date dagli intervistati.
I più bravi e fortunati sono in grado di interrogare direttamente la fonte, chiamando l’amico sondaggista: operazione ardita, ma particolarmente preziosa nei 15 giorni di oscuramento dei sondaggi che prevedono il giorno delle elezioni. Acquisite le previsioni numeriche, per quello che valgono, si scatena la caccia allo scenario di governo a opzione multipla. Quale maggioranza si formerà dopo il voto e. soprattutto, dope i conversati istituzionali al Quirinale? E chi vincerà la competizione della vita per accomodarsi sulla poltrona di ministro? E ancora, chi farà da contraltare occupando la presidenza della commissione parlamentare competente? Ad altre latitudini, da Washington a Londra a Parigi, le risposte giuste potrebbero essere date perfino da un attento passante. In Italia. no. Non c’è scienza esatta che possa essere d’aiuto, prima del voto. E ammessa, piuttosto, ogni forma conosciuta di scommessa: alle nostre latitudini si pratica con perversa professionalità il ‘totonome’, sport esaltante e diffuso (non solo) al centro di Roma, amato in particolare da soggetti privi di qualsiasi allenamento logico strategico e dominato dalla creatività più spinta, spesso spacciata come spiffero riservatissimo proveniente dall’ultima stanza del Nazareno o di Palazzo Grazioli. In questo ambito ogni teoria è consentita, ogni ricostruzione pub essere valida per almeno un minuto (prima che la tazza del cappuccino sia vuota o la sigaretta consumata). Ma il bravo lobbista non si lascia impressionare e valuta razionalmente le possibilità di successo dei vari contendenti. Sarebbe tentato addirittura di disegnare una mappa dei rischi istituzionali’ che la sua azienda o la sua organizzazione dovrà affrontare nei prossimi anni, se non fosse consapevole che – in un sistema politico dominato dalla discrezionalità dei leader di partito e dai loro ‘innamoramenti’ terribilmente mutevoli – si tratta di nomi, assetti e scenari scritti sulla sabbia di una battigia. Basterà un’onda improvvisa per cancellare tutto. In questa Armageddon dell’urna, il bravo lobbista potrà essere tentato dall’idea di sostenere economicamente o elettoralmente un partito, o addirittura tutti i partiti. Ma non è mai una buona idea, per chi esercita questo mestiere. Perché la strategia più efficiente per difendere al meglio interessi di parte è, paradossalmente, quella di non prendere parte. Salvo che, naturalmente, non si desideri coltivare (più che legittimamente) la prospettiva personale di cambiare mestiere, saltando la barricata.
Alla fine, in questa giostra impazzita fatta di verità dell’ultimo minuto che saranno smentite un minuto dopo, l’unica forma di prevenzione possibile del bravo lobbista corrisponde in realtà all’antica ‘regola del successo’ del lobbying anglosassone: coltivare e difendere la propria reputazione professionale. La vittoria dell’uno o dell’altro schieramento pub diventare un fatto marginale per il bravo lobbista se viene considerato interlocutore capace e credibile, affidabile e onesto: un rappresentante di interessi che il politico deve poter frequentare sempre, nella buona o nella cattiva sorte, senza dover fuggire con gli occhialoni scuri dalla porta di servizio del ristorante. Non è un’utopia, non è ancora la realtà italiana. Ma siamo sulla buona strada.
Francesco Delzio/Prima Comunicazione