Lobbying e fake news contro il Prosecco

II caso dello spumante italiano attaccato dai giornali inglesi mostra il rischio di un’informazione che non verifica e può alterare il mercato

Prima Comunicazione/Lobby d’autore
di Francesco Delzio

Mai fidarsi della stampa, soprattutto se si gioca in terra straniera. Perché può accadere che anche le testate (considerate) più autorevoli — perfino nella patria del giornalismo anglosassone — possano prendere abbagli clamorosi, pubblicando fake news e dimenticandosi di verificarne (preventivamente) la fondatezza. E può accadere più facilmente, se oggetto degli articoli diffamatori è un prodotto che non appartiene al Pil nazionale.

Il “caso Prosecco” è l’ultimo esempio, davvero clamoroso, e merita di essere sviscerato. A fine estate l’autorevole Times è stato costretto a scusarsi con la bollicina più effervescente del mondo per i reiterati affondi realizzati ai suoi danni nei mesi precedenti da altre due testate londinesi, Daily Mail e Guardian. L’atto d’accusa aveva tinte fosche: il vino italiano rovinerebbe i denti, minacciando il loro smalto, a causa della sua acidità e provocherebbe addirittura (se consumato in dosi eccessive) buchi e danni gengivali. Secondo gli esperti (britannici) citati da Daily Mail e Guardian, la causa sarebbe la presenza nella bevanda italiana di anidride carbonica accanto a zuccheri e alcol, un mix che comporterebbe un aumento della sensibilità dentaria (soprattutto nelle donne, precisavano entrambe le testate con perfida precisione) e il rischio di corrosione. Il contenuto degli articoli era stato immediatamente contestato non solo dai produttori di Prosecco, ma anche dal nostro ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina che con un tweet aveva invitato il Guardian (primo quotidiano a pubblicare la notizia) a bloccare le fake news. Subito dopo si era doverosamente aggiunta, sulla stessa linea del ministro, la Coldiretti. Non è difficile collegare l’attacco inglese contro la docg del Nordest al suo successo, contro cui nulla hanno potuto la Brexit e la conseguente svalutazione della sterlina. Perché si tratta di una bevanda molto amata oltremanica. Qualche mese fa, le cronache politiche dei newspop britannici raccontavano che perfino la premier Theresa May, in una cena ufficiale con i maggiorenti del suo partito servita nella residenza ufficiale di Chequers, avrebbe pasteggiato con il Prosecco. E i numeri confermano l’apprezzamento del Prosecco nella terra di Albione, con un record di circa 40 milioni di litri stappati l’anno scorso: nel 2016 la Gran Bretagna ha importato spumanti italiani per un controvalore di 366 milioni di euro, diventando il primo mercato di destinazione delle bollicine made in Italy. E nonostante gli attacchi gratuiti subiti, nei primi cinque mesi del 2017 il Prosecco ha ulteriormente aumentato le sue esportazioni sul mercato Uk di ben il 12%.

Giunti al termine di questa curiosa quanto triste vicenda, poco importa (almeno in questa sede) sapere se corrisponde a verità la teoria dei complottisti, secondo cui l’attacco al Prosecco sarebbe stato promosso dalla lobby britannica della birra. A supporto della teoria viene citata la sparata del ministro degli Esteri britannico, il vulcanico (e amante della birra) Boris Johnson, che nel corso del recente meeting di Pontignano ha minacciato l’Italia affermando: “Non esporterete più Prosecco”, subendo la pronta replica del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, pronto a ritorsioni sui fish and chips. D’altra parte, contro questa teoria si ricorda l’evidente non fungibilità dei due prodotti: troppo diversi Prosecco e birra — per target, prezzo ed effetto sul palato — per lasciar immaginare guerre reciproche destinate a contendersi quote di mercato. È molto più interessante, piuttosto, rilevare quanti danni possa creare l’eventuale e perverso incrocio tra lobbying e fake news. Incrocio che si sta verificando sempre più frequentemente. Se le seconde vengono sparate nel ventilatore al servizio di precisi interessi economici, in mancanza (come già abbiamo denunciato su queste pagine) di un qualsiasi strumento certificato di checking o di normative adeguate, rischiano di alterare pesantemente le scelte di mercato di consumatori, risparmiatori e investitori. E se i giornali, perfino i più autorevoli, rinunciano al loro ruolo naturale di verifica della fondatezza (anche tecnico-scientifica) delle notizie e delle loro fonti, salta qualsiasi presidio in grado di tutelare le nostre scelte. Il “caso Prosecco” deve farci riflettere attentamente, anche perché è facile prevedere che non sarà l’ultimo del genere.